Vis a vis con una Filologa

Benedetta d’Anghera è una giovane filologa, ricercatrice, musicista e insegnante.

Se fosse un letterato dell’antichità, potrebbe essere Cicerone.

Generi preferiti: gialli e saggistica a sfondo filosofico.

Tra i libri prediletti, senza dubbio ci sono “Le affinità elettive” e “L’ombra del vento”.

Cantanti: Vecchioni (in particolare l’ultimo album, L’Infinito) e Jovanotti, soprattutto Safari.

Qualche giorno fa, Benedetta ed io ci siamo incontrate su Google Meet e abbiamo chiacchierato insieme su tanti bei temi, che spero affascineranno  anche voi, come lo hanno fatto con me. Buona lettura!

Ciao Benedetta, in cosa ti sei laureata?

Ciao! Dopo aver conseguito la Laurea in Filologia letterature e storia dell’antichità (con una tesi di Letteratura latina medievale) mi sono diplomata in Viola, al Conservatorio.

All’Università mi sono concentrata sulla figura di Ildegarda di Bingen, una donna eccezionale, e in particolare sulla parte musicale che la riguarda. Ildegarda era una monaca benedettina, una badessa e una visionaria. Lei diceva che tutto ciò che scriveva, le era dettato dalla voce di Dio.

Sono tante le sue opere, anche riguardanti la filosofia, le scienze naturali. È sicuramente una delle prime donne a scrivere di rimedi naturali contro malattie.  Poi, dobbiamo ricordare la bellissima raccolta di Carmina, cioè di canti, di cui ha scritto sia il testo, che la musica.  La sua raccolta si chiama “Symphonia Armonie Celestium Revelationum” (Sinfonia dell’Armonia delle Rivelazioni Celesti) e io sono andata a studiare proprio questi canti sia dal punto di vista testuale, sia musicale.

Anche se poi, col dottorato, mi sono spostata in ambito umanistico, ho continuato a studiare con passione Ildegarda. Lo scorso dicembre, infatti, è stato pubblicato un libro su di lei, a cui ho collaborato.

Hai parlato di dottorato. Qual è il tuo progetto di tesi?

Il mio corso di dottorato si chiama “Antichità Classiche e loro fortuna: Archeologia, filologia e Storia”.

Con il Covid-19, che ha comportato a lungo la chiusura delle biblioteche, le difficoltà si sono moltiplicate e tempi si sono allungati di qualche mese, ma posso dire di essere ormai in fase di chiusura di questo mio percorso triennale.

La mia tesi è in Filologia latina umanistica, perché ho lavorato all’edizione critica di un epistolario di età umanistica di circa 200 lettere, che non sono mai state pubblicate. Il mio compito è stato quello di fare la prima edizione dell’epistolario, scritto da un umanista perugino, Francesco Maturanzio. Ho scoperto questa bellissima figura e ne sono rimasta affascinata. Maturanzio è stato insegnante, studioso, viaggiatore. Ha fatto anche un viaggio in Grecia al tempo delle guerre turco veneziane, che racconta nelle sue lettere.

Lavorare al suo epistolario è stato un lavoro abbastanza complesso e ho speso molto tempo sui suoi scritti. Ho studiato tanto la sua opera, da avere a volte l’impressione di parlare con lui vis a vis. Mi piacerebbe. Vorrei chiedergli il perché di alcune sue riflessioni…

Il tuo ambito di studio è visto, molto spesso, come qualcosa per pochi. Cosa hai da dire in tua difesa?

Quando ero al liceo, scelsi di proseguire i miei studi nell’ambito letterario. Lo dissi ai miei professori e alcuni di loro furono subito scettici. Non erano convinti che la mia scelta fosse quella giusta. Mi dissero che avrei dovuto fare il medico o il giudice, che “per lettere sarei stata sprecata”. Io prosegui lo stesso nella mia scelta e ora posso dire che la rifarei altre infinite volte. Credo che aver intrapreso studi umanistici sia stato un modo per entrare in profondo contatto con l’uomo, con i suoi pensieri, con le sue domande eterne. Gli studi umanistici mi hanno permesso di intraprendere un viaggio alla scoperta dell’humanitas, la propria e quella dell’uomo in generale. Essere entrata in questo mondo, per me, ha avuto ed ha un valore grandissimo.

Le grandi domande dell’uomo dovrebbero guidarci sempre. Penso che tanti problemi sul piano politico, nel mondo contemporaneo, derivino dal fatto che c’è un livello culturale bassissimo, che si legge poco, che si studia poco. Dunque dovrebbe esserci una rivalutazione degli studi umanistici. Oggi il mondo è governato dal fattore economico, tutto è monetizzato. Ma i valori, i pensieri, i perché non sono monetizzabili, pur essendo quelli che dovrebbero essere alla base di ogni scelta.

Che dire di più, ho scelto gli studi più belli del mondo, non ho dubbi!

Nei tuoi studi ti sei confrontata con autori di ogni epoca. Cosa hai imparato sulla società? L’uomo è cambiato o, in fondo, è sempre lo stesso?

L’uomo è cambiato tanto. Senza cadere in generalizzazioni, posso dire che le stesse domande, fatte in epoca diversa, non possono che avere risposte diverse.

Accostandomi ai testi antichi ho certamente trovato domande che sono eterne, sul senso della vita, sul senso dello stare insieme… E, insieme, anche tante domande che sono cambiate.

Ho avuto la possibilità di vedere il percorso che l’uomo ha fatto finora, quali domande sono rimaste e quali risposte diverse sono state date.

Tu sei una violista. Hai studiato due ambiti differenti. Musica e Letteratura come coesistono nella tua vita e come l’una ha arricchito l’altra?

Rispetto alla mia esperienza, la più grande differenza tra musica e filologia è nel fatto che la musica è arte e la filologia è scienza. L’arte ha delle caratteristiche molto diverse da uno studio scientifico. Gli studi umanistici sono scienze, e in particolare lo è la filologia. La filologia, quando è nata come scienza nell’800, è nata anche con delle regole ben precise, assimilabili per certi versi a quelle matematiche. Fare l’edizione di un testo è un vero e proprio processo tecnico, matematico, con fasi e metodi ben precisi.

Certo che la letteratura è anche arte, ma lo studio della letteratura è scienza. I filologici sono gli scienziati della letteratura.  Quando io prendo in mano la viola per suonare, invece, creo arte, non faccio scienza.

Come mi ha aiutato la musica nella mia vita, è un’altra grande questione. La musica aiuta a sviluppare una grande elasticità mentale, a livello cerebrale-neurologico è uno strumento potentissimo. Quindi la musica per me è stato un allenamento per il mio cervello, rendendolo così elastico, così dinamico, veloce.

Poi, anche nella ricerca filologica, gli argomenti che mi appassionano di più sono quelli che legano musica e letteratura. Ho, quindi, conservato questa mia passione, come nel caso dello studio su Ildegarda. Di recente mi sono dedicata allo studio degli strumenti musicali nelle Bucoliche di Virgilio. Mi sono accorta che questo poeta ne sapeva di musica e che quindi, per tradurre alcuni suoi versi, è necessario conoscere il latino, ma anche la musica.

Hai studiato per molto tempo dividendoti tra Conservatorio e Università. Come sei riuscita a gestire gli impegni di studio?

Gestire tutte e due le cose insieme non è stato facile. Con molto realismo bisogna dire che non è possibile fare allo stesso livello entrambe le cose. Siamo persone, siamo limitate, abbiamo un tempo limitato. La cosa essenziale che ho fatto è stata stabilire una priorità. Poi c’è stato bisogno di grande organizzazione per distribuire le energie.

Io avevo scelto la Filologia, sapevo che avrei fatto la ricercatrice, l’insegnante, ma allo stesso tempo riconoscevo alla musica un valore essenziale per la mia vita. E quindi, anche quando ero stanchissima, ho riservato del tempo alla viola, consapevole dei miei limiti, consapevole delle mie possibilità. Ora sono felice di come sia andata e penso che ne sia valsa la pena.

Quanto sono importanti le Lettere classiche oggi?

Sarebbero importantissime, ma non lo sono per tutti. Anche noi del settore ci stiamo interrogando su come far sopravvivere gli studi classici in una società che sta cambiando. È inutile ancorarsi nelle proprie discipline senza rendersi conto dei bisogni e delle richieste attuali che la società ha.

Le Lettere, come dicevo, sono considerate molto poco importanti dalla società attuale, perché adesso è importante quello che è monetizzabile. La stessa “ingiustizia” la sta subendo anche la musica. L’arte, la cultura e ciò che non sembra avere un’utilità economica immediata sono molto svalutati. Invece, questi ambiti custodiscono ciò che soddisfa l’uomo nei suoi bisogni più intimi e, quindi, dovrebbero essere coltivati in primis.

La stessa definizione di classico ci dà un grande insegnamento. Classico è ciò che non muore mai, che non smette mai di esistere e che in ogni epoca rimane come punto di riferimento. Un abito classico, la musica classica sono proprio quelle cose che “vanno sempre”, che “non dovrebbero perire mai”. Vale lo stesso per le Lingue e Letterature classiche.

Quando mi sono laureata, sulla mia bomboniera ho fatto scrivere: “Il classico è ciò che non smette di aprire le porte al nuovo e così esistendo non muore mai”. Il Classico ti fa scoprire sempre la novità.

Sei anche un’insegnante al liceo, cosa ne pensano gli studenti delle Lettere classiche?  

Non insegno da molto, sono solo al secondo anno. Il pensiero che la lingua latina non serva è manifestato da molti studenti e ciò è una cosa risaputa. I ragazzi risentono molto della mentalità contemporanea, per cui il latino non serve. Tutti gli insegnanti di latino si saranno sentiti dire, almeno una volta, dai loro studenti “Noi il latino non lo parliamo mica!”

Faccio fatica a far capire loro che, come prima cosa, è molto più bello leggere la letteratura Latina in lingua originale per non perderne il senso. Se si vogliono conoscere il mondo latino, gli autori e le loro idee, bisogna farlo nella loro lingua. La forma in letteratura è sostanza, la forma dà sostanza. Poi il latino è un esercizio di logica: fare le versioni è uno strumento eccezionale, che ci aiuta a comprendere meglio anche i meccanismi della nostra lingua, l’italiano. Ho sentito dire spesso che gli studenti non vogliono studiare il latino perché è troppo difficile, e io rispondo loro che le cose difficili sono proprio quelle che ci aiutano a crescere.

Un giorno ho chiesto ai miei ragazzi cosa apprezzassero del latino e uno di loro mi ha risposto che il latino ha una bellezza mistica. Beh, mi sembra una splendida motivazione per studiare il latino.

Il Medioevo è presentato spesso come il “periodo buio” nella storia, mentre sappiamo che non è affatto vero. Anche il 2020 e questo giovane 2021 soffriranno per essere ricordati come anni bui, per ovvie ragioni. Ma sicuramente, come il Medioevo, anche il nostro presente avrà qualche luce da dare. Cosa ne pensi?

La definizione di età buia è stata data a posteriori. Gli uomini e le donne che hanno vissuto nel Medioevo non lo pensavano.

È bene considerare il Medioevo come il periodo nel quale si sono gettate le basi della modernità e si sono rotti dei meccanismi politici, quando sono stati creati i primi stati moderni, i comuni, le prime città gestite dal popolo. Sono anche gli anni in cui sono state fatte tante piccole-grandi invenzioni, come le lenti e gli occhiali.

Il Medioevo e il 2020 hanno in comune grandi pestilenze. E anche altri fattori ci portano a definirlo buio, soprattutto riferendoci alle crociate. In parallelo al 2020, le crociate potremmo confrontarle con le lotte di adesso che strumentalizzano la fede.

Comunque sia il Medioevo è un periodo bellissimo, pieno di favole, pieno di invenzioni nuove e pieno di realtà politiche che hanno contribuito a fondare l’Europa moderna.

Sicuramente anche il nostro presente ha tanto di buono e il Covid-19 non può certo dire l’ultima parola.

Dicevi prima che hai collaborato a una pubblicazione su Ildegarda di Bingen. Cosa ti ha più colpito di questa donna?

Ildegarda è stata una grande donna. Era chiamata la “sibilla del Reno” ed era considerata un punto di riferimento per imperatori e papi grazie al suo dono visionario.

Quando era giovane, Ildegarda faceva parte di un monastero benedettino, succursale di un monastero maschile. Per il suo monastero femminile, lei è stata capace di creare una realtà totalmente autonoma e indipendente, che non fosse più la sezione di un monastero maschile.

Ti racconto un episodio della sua vita:

Dal manoscritto Scivias

Accanto ai monasteri venivano seppelliti i morti e il monastero ne traeva delle rendite. Ad un certo punto, i monaci di Magonza chiesero a Ildegarda di disseppellire il corpo di una persona che in vita era stata condannata come eretica, ma lei si oppose, perché sapeva che la persona in questione si era pentita in punto di morte.

Il clero di Magonza, per controrisposta, punì Ildegarda e le altre monache del monastero, vietando loro di ricevere l’Eucarestia e di cantare. Poichè per Ildegarda il canto era lo strumento terreno più alto per arrivare a Dio, scrisse una lettera di protesta ai monaci di Magonza, in cui li accusava di essere strumento del diavolo nell’impedire il canto alle monache.

È stato molto interessante studiare la concezione della musica e del canto di Ildegarda. Lei diceva che in cielo c’è un’armonia e sulla terra il canto, ossia una sinfonia che serve all’uomo per arrivare a quell’armonia celeste. Il canto è lo strumento più efficace per arrivare a Dio. Infatti, nell’opera teatrale Ordo Virtutum il diavolo è l’unico personaggio che quando appare in scena urla e non canta.

I monaci, alla fine, coscienti di non poter essere strumento del demonio, cedettero e permisero a Ildegarda di tornare a cantare.

Vorrei sottolineare che per Ildegarda il termine “sinfonia” indica una raccolta di canti: questa accezione verrà data solo molto dopo nella storia della musica.

In sintesi, Ildegarda è stata una grande donna, forte, eccezionale, sorprendente, brillante.

Studiare Ildegarda ti ha fatto anche comprendere meglio il ruolo della donna oggi?

Certo, in Ildegarda ho ritrovato una donna molto forte, molto decisa, molto determinata.

Ildegarda faceva indossare alle sue consorelle anche perle, diamanti e ornamenti vari, perché anche le monache, in quanto donne, dovevano poter essere belle.

Ildegarda creò anche una lingua artificiale che si parlava nel suo monastero! Un mito, diremmo ora.

Hai lavorato a molti progetti, attorno alle figure di Ildegarda e Maturanzio.

Dalla primavera 2020 sino ad oggi sono uscite quattro mie pubblicazioni. Due riguardano Maturanzio, una delle due è un suo testo sconosciuto. Maturanzio aveva scritto degli esempi di lettere in latino, con la traduzione a fronte in volgare, che utilizzava per insegnare ai suoi studenti come scrivere le lettere. Ho riscoperto nella Biblioteca Vaticana questa raccolta di lettere modello per studenti, che non era nei moderni cataloghi delle opere di Maturanzio e che non era mai stata pubblicata. Sono felicissima di aver fatto questa scoperta!

Un’altra mia pubblicazione è sugli strumenti musicali nelle Bucoliche. Poi c’è la pubblicazione di un mio articolo, un breve saggio, in un volume su Ildegarda, dove spiego la sua teoria in merito alla sinfonia e all’armonia celeste. Ho studiato sia la parte letteraria sia la parte musicale ed è stato interessante osservare come sia forte la relazione semantica tra musica e parola nei suoi canti.

Progetti per il futuro?

Vorrei continuare a lavorare nei campi dell’insegnamento e della ricerca perché sono quelli in cui non si smette mai di imparare, di costruire, di esercitare la creatività per portare novità. Così non si invecchia mai!

Pubblicato da ilblogdiunrabarbaro

Anna, 23 anni, amore per la vita e per Chi l'ha creata, passione instancabile per la musica. Meravigliata come stile di vita e curiosa di scoprire nuove cose, mi appassiono della vita e della bellezza, sono un'aspirante santa. Con il corno sulle spalle cammino per le strade del mondo...

3 Risposte a “Vis a vis con una Filologa”

  1. Ildegarda diceva che in cielo c’è un’armonia e sulla terra il canto, ossia una sinfonia che serve all’uomo per arrivare a quell’armonia celeste.
    Non è questo il fine del nostro peregrinare sulla Terra? Poter esprimere con il canto il grazie per l’armonia che ci risuona dentro!!!!

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