Oggi vorrei raccontare la bella realtà delle suore Francescane Alcantarine presente in Albania.
Nello scorso autunno ho conosciuto suor Anna Linda, una suora alcantarina, e mi hanno colpito molto i suoi racconti degli anni trascorsi in Albania.
Le ho chiesto di raccontarmi di più, per conoscere meglio la realtà albanese.
Da quanto tempo siete presenti in Albania voi suore Alcantarine? Quali attività svolgete?
Noi suore Alcantarine siamo in Albania dal 1992. Ci troviamo a Babicë, in un villaggio collinare alle porte di Valona, città turistica dell’Albania del Sud, territorio tradizionalmente di religione musulmana. Lì abbiamo una fraternità di 3 suore che, tutto l’anno, la mattina o il pomeriggio, a secondo dell’orario scolastico, accoglie 60 ragazzi, dai 5 ai 16 anni.
Da quando siamo arrivate, dopo la riapertura delle frontiere albanesi in seguito del periodo di dittatura, il nostro centro è luogo di incontro, di accoglienza, di crescita, gioco e formazione, principalmente per i ragazzi, ma anche per le loro mamme e per le persone del villaggio.
È una realtà viva e vitale, una casa aperta ai bambini e alle loro famiglie che lì possono incontrarsi, giocare e crescere insieme.
Noi suore abbiamo anche un pozzo al quale possono accedere tutti: offre acqua potabile a molte persone del villaggio, che altrimenti potrebbero usufruire solo di acqua non potabile e solo per un paio di ore al giorno.
Quando sono arrivata per la prima volta ho pensato che fosse una specie di oasi nel deserto.
Cosa ti ha colpito andando lì e cosa è cambiato nel tuo modo di vedere quella realtà? Cosa hai imparato?
Premetto che la mia esperienza di vita lì è durata solo 2 anni e qualche mese, è stata un’esperienza breve per un Paese che ha una lingua, una cultura e uno stile di vita molto diverso dai nostri (sebbene sia così vicino).
Una delle prime cose che mi ha colpita di Babicë è la semplicità dello stile di vita. A Babicë si vive una vita ordinaria, ancora dettata dal clima e dagli orari di luce e di buio, ad esempio in inverno, quando la giornata per molti aspetti finisce alle 16.00. Per loro è normale andare a fare la spesa in ciabatte e se c’è un guasto elettrico il tecnico sale sul palo della luce con i ramponi. A piedi puoi andare dappertutto e non tutte le case sono raggiungibili con l’auto, perché le strade sono semplici sentieri, inoltre la maggior parte delle famiglie non ha un’auto propria. In moltissimi hanno una capra o una mucca, qualche gallina (o tacchino nel periodo di Capodanno) nel giardinetto o nel garage e quasi tutti hanno un piccolo orto. Di norma i vestiti si comprano al negozio dell’usato.
Di che povertà si parla? Economica, sociale? Di cosa hanno bisogno le persone che incontrate?
Credo che possiamo parlare di una povertà a livello economico sì, aggravata da una diffusione della corruzione molto elevata. Anche perché nonostante la moneta sia piuttosto svalutata, il costo di alcune cose, anche tra i beni di prima necessità, è piuttosto rilevante. Considererei abbinate la povertà sociale e la povertà sanitaria poiché le vedo complici di grandi fatiche familiari e non dimenticherei la povertà culturale data anche dal livello mediocre del settore dell’istruzione.
Per quanto riguarda i bambini e i ragazzi attraverso le attività e i progetti che proponiamo cerchiamo di aiutarli a crescere nel rispetto reciproco e dell’ambiente, nella cooperatività, nella gratitudine. Offriamo sostegno educativo alle mamme, spesso sole nel ruolo genitoriale. Attraverso progetti specifici cerchiamo di aiutare economicamente le famiglie che ne hanno bisogno per sostenere le spese scolastiche.
I giovani come vivono in questa situazione economico-sociale?
Ciò che ho visto nella maggior parte dei giovani, ma riguarda tutte le fasce d’età, è la difficoltà a sognare e a sperare per sé qualcosa di bello, oltre a ciò che è già indicato da qualcun altro. Spesso accade ancora oggi che i genitori decidano per i figli, che gli uomini della casa scelgano per le donne e che questo processo, piuttosto che sortire contrasto, rabbia o disappunto come immagineremmo, avvenga invece in una sorta di annientamento del sogno, che ti fa semplicemente pensare che le cose vanno così perché devono andare così. Allargando lo sguardo, si può notare questa “difficoltà a desiderare” anche in senso più lato.
A livello sociale raramente ho visto la comunità muoversi per un’ingiustizia subita o fare azioni volte a difendere un diritto. Posso immaginare che questo sia il risultato di 50 anni di oppressione e di terrore agito in modo capillare, unito alla cancellazione della possibilità di vivere e coltivare la propria fede.
Molte volte ho pensato che la nostra presenza diventasse la possibilità di darsi il diritto di sognare e molte volte ho visto come lo sia stata per alcuni dei ragazzi di cui si sono presi cura le nostre suore. Purtroppo la conquista di questo diritto al sogno per tanti giovani si concretizza nel migrare: moltissimi sono infatti i giovani albanesi che cercano di realizzare i propri desideri fuori dal proprio Paese.
Nel 2016 sono stati beatificati 38 martiri albanesi, vittime della persecuzione religiosa contro la Chiesa Cattolica organizzata dalla Repubblica Popolare Socialista d’Albania sotto Enver Hoxha, che aveva vietato ogni forma di credo religioso. Chi va in Albania spesso percepisce un senso di rifiuto della memoria di ciò che è stato il comunismo: come si fa, da missionarie, da fuori, a far sì che questa memoria non venga respinta/cancellata del tutto?
A noi sembra molto strano il fatto di conoscere e raccontare un’esperienza terribile al popolo stesso che l’ha vissuta fino a solo 30 anni fa, ma è vero che spesso è immediata la sensazione che ci sia il rifiuto al ricordo, il rifiuto a quella parte della storia.
Credo che la nostra presenza di religiose, particolarmente di religiose in terra musulmana, sia importante anche proprio in questo ravvivare la memoria di un tempo che ha tentato di confondere le menti, di eliminare il pensiero creativo, di creare panico infondato verso l’esterno, di nascondere Dio.
Credo che il modo migliore per sostenere il ricordo di un fardello così pesante, sia rendersi prossime, restare in ascolto, stare in mezzo, stare accanto…semplicemente starci, “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1Pt 3,15).
Per sostenere i progetti delle suore Francescane Alcantarine in missione: Alkantara Onlus
Che bello grazie di averci dato uno scorcio su questa realtà di speranza ❤️