Raffaele Buscemi

Ho avuto il piacere di intervistare Raffaele Buscemi. Abbiamo parlato intorno al tema della Comunicazione, del Giornalismo e della missione che hanno i cattolici on-line.

Raffaele Buscemi è un giornalista ed Istruttore di Media Training presso la Facoltà di Comunicazione della Pontificia Università della Santa Croce. È anche direttore della Comunicazione dell’Opus Dei in Italia ed ha collaborato con la Santa Sede in occasione di alcuni grandi eventi.

Cosa ti appassiona del mondo del giornalismo? Quando hai capito che il giornalismo poteva essere il tuo lavoro?

A 15 anni avevo già deciso che avrei fatto il giornalista; avevo capito che fare il giornalista teneva insieme la mia passione di raccontare storie e la mia grandissima curiosità di scoprire la verità.
Sono di Palermo e ho frequentato il Liceo scientifico “Benedetto Croce”. Ho cominciato scrivendo per il giornalino d’Istituto, un po’ per gioco e un po’ perché scrivere era una cosa che mi piaceva fare.

L’anno dopo l’inizio del giornalino, tramite il mio liceo ho iniziato a collaborare con Il Giornale di Sicilia al telegiornale dei ragazzi. Andavo lì circa una volta a settimana, mi diedero una piccola telecamera per andare in giro a fare dei servizi per la televisione. Il mio primo articolo fu per la Giornata Mondiale dell’Acqua, che una base scout di Palermo festeggiava in grande.

Mi piacque da subito tutto: fare le riprese, il montaggio, la scrittura. Trovai persone molto gentili e disponibili a insegnarmi. Altre volte sembrava più un servizio di leva obbligatoria e i più grandi erano molto diretti con noi ragazzi: un articolo da correggere finiva appallottolato e lanciato addosso.

Eppure mi piaceva tantissimo e spesso preferivo lavorare ai servizi, che andare a scuola.

Nello stesso anno, poi, mi chiesero di condurre il telegiornale dei ragazzi, il TGS Giovani. Si accendeva la luce rossa e c’ero io, in diretta. Un’adrenalina unica!

Il giornalista più grande che seguiva noi ragazzi ci diceva spesso: “Noi siamo qui per inoculare il virus del giornalismo”. Una volta che ti arriva dentro, poi ti piace. Quasi tutti i ragazzi che parteciparono a quel progetto sono diventati giornalisti o addetti stampa o comunicatori per grandi aziende. Anch’io, quando ho dovuto scegliere l’università, non ho avuti molti dubbi: il giornalismo era ciò che volevo.

Il virus ha funzionato.

Qual è il ruolo del giornalismo oggi?

Lo stesso giornalismo si interroga a tal proposito. Io penso che da sempre il suo ruolo sia quello di ricercare la verità e diffonderla al maggior numero di persone possibile.

Il giornalismo è sicuramente cambiato il modo di fare giornalismo, ma il suo ruolo resta sempre lo stesso.

Da una ventina di anni, però, qualcosa è cambiata e a dettare legge vi è la necessità di arrivare subito on-line prima degli altri. In questo modo si bruciano tutte le tappe di verifica della notizia. E così spesso vengono diffusi fatti non esatti e online ormai è quasi normale aggiornare la cronaca. Quando mi occupavo di cronaca nera a Palermo, raccontare i fatti era sempre una questione molto seria. Non potevo permettermi di scrivere cose false, perché il servizio non poteva essere corretto in un secondo momento.

A volte mi è capitato di leggere notizie online, che rileggendole dopo mezz’ora sulle stesso sito erano cose completamente diverse. Questo modo di fare giornalismo crea in chi legge un’enorme disaffezione e mancanza di fiducia.

Documentazione.info, il sito web che gestisco, abbraccia totalmente un altro concetto, che è quello di arrivare ultimi. Insieme a tutta la redazione ci proponiamo di pubblicare sempre notizie verificate e documentate, complete, come si fa a SlowNews e in tanti altri siti web di informazione.

Per me, oggi il giornalismo deve chiedersi se vuole arrivare semplicemente primo o se vuole raccontare qualcosa di vero (almeno con la maggior assicurazione che lo sia). A tal proposito consiglio di vedere The News Room, una serie tv americana che racconta molto del mondo del giornalismo. In una puntata, una giornalista non dà una notizia perché non ha conferme sulla veridicità del fatto.

Questo dovrebbe essere il giornalismo standard.

Sei Direttore dell’Ufficio Comunicazione Opus Dei Italia e hai collaborato con la Santa Sede per numerosi eventi. Quali sono le tue “linee guida” in questo lavoro?

Le mie linee guida sono le stesse di quando facevo cronaca nera: dire sempre la verità, non omettere i fatti, essere più asciutto possibile, non nascondere fatti negativi.

Negli ultimi undici anni, sia io, sia il precedente direttore dell’Ufficio Comunicazione, Bruno Mastroianni, abbiamo scelto linee di trasparenza. Il sito internet è più aperto, social più informali e alla portata di tutti con video-testimonianze. Così facendo abbiamo visto che l’opacità dell’istituzione si è ridotta notevolmente. Sul sito ci sono i file pdf delle preghiere, degli statuti, anche in varie lingue. C’è una mappa interattiva con tutti i centri Opus Dei, con gli indirizzi, i numeri telefono.

Prima di questo, se qualcuno avesse voluto conoscere l’Opus Dei, avrebbe dovuto solo sperare che il parroco o qualche conoscente ne sapesse qualcosa.

All’uscita de Il Codice Da Vinci di Dan Brown, prima con il libro (2003) e poi con il film (2006), l’Opus Dei ha subito un forte attacco. Come ha reagito?

Quando ci fu quel mega attacco tutto il mondo aveva i riflettori accesi sull’Opus Dei. L’Opera avrebbe potuto avanzare denunce per diffamazione, querele, ecc., ma ha scelse di fare un’unica cosa: una dichiarazione di pace.

Con Il Codice Da Vinci c’è stata data l’occasione per dire qualcosa di positivo, di bello, di vero. Per raccontare chi siamo e quello che viviamo.

In questa circostanza l’Opera ha scelto dei portavoce per andare in televisione a raccontare la verità. La cosa essenziale in queste persone era l’essere sorridenti: non era tanto importante ciò che veniva detto, ma il fatto che queste persone fossero serene, calme. Effettivamente mi ricordo che Corigliano andava spesso in tv, al TG5 e in altri programmi. Anche se lo bastonavano, lui sorrideva e rispondeva “sono d’accordo che non siamo d’accordo”.

Quando sono diventato direttore dell’Ufficio Comunicazioni, in accordo con il direttore precedente, abbiamo deciso di continuare su questa strada. Una crisi è un riflettore, che non uso per difendermi e dire che sono tutti cattivi ce l’hanno con me, ma per fare verità.

Un attacco, lo dico giornalista, in genere ha sempre un fondo di verità. Certo, magari non è contestualizzato, anzi è strumentalizzato, ingigantito. Ma non è mai lo 0% della verità e il 100% di menzogna. La risposta più intelligente agli attacchi è l’essere disponibili e chiarire la situazione, anche fornendo ai giornalisti del materiale per contestualizzare i fatti. Poi deve essere chiaro che se uno sbaglia è la sua responsabilità personale. Se una persona è colpevole, è sua responsabilità, non di tutta l’Opus Dei.

Insomma, le mie linee guida sono queste! Chiarezza, trasparenza, semplicità e, se c’è una colpa, ammissione della colpa.

Quale strumento possiamo sfruttare come Chiesa, in quest’epoca digitale?

Io partirei dal buon utilizzo dei social. È molto brutto vedere che persone molto buone, credenti, poi online si trasformano. Una maggiore educazione digitale servirebbe a tutti i cattolici e non, per capire il concetto di unità di vita.  Su internet non ci possiamo trasformare: offline e online siamo le stesse persone.

Spesso i cattolici usano la dottrina come se fosse una mazza da dare in testa alle persone, come ho scritto anche in un libro con Bruno Mastroianni. Io penso che si debba partire sempre dall’empatia. Se viene una ragazza e mi dice che ha abortito, io non posso inveirle contro o bastonarla. Devo partire dall’empatia, dal creare una relazione. Prendere su di me un pezzo del suo dolore e capire come può essere aiutata. Devo comunicare all’altro che non è solo, che è in una rete, che ha un salvagente.

Il Magistero si sostiene da solo, si salvaguarda ormai da duemila anni. La relazione con l’altra persona è la vera sfida, perché se salta la relazione non ci può essere comunicazione.  

La prima cosa da fare è cominciare, quindi, con l’operatività dell’empatia.

Molti cattolici, invece, pensano che bisogna salvaguardare prima il principio e poi si salvi chi può, le persone pazienza. È tutto il contrario: salvare prima la relazione e poi se c’è una relazione in essere si può comunicare, spiegare, dialogare. Il famoso ponte da costruire di cui parla il Papa è l’empatia, attraverso la quale io posso arrivare all’altro.

Quindi come usare i social? Possono strumento di evangelizzazione? 

Certo che sì! Gli ingredienti sono quelli che ho citato anche prima: empatia ed unità di vita.

Questo è ciò che facciamo anche con i canali social dell’Opus Dei. Siamo molto informali, rispondiamo a tutti i messaggi che ci inviano (anche a chi ci dice che Harry Potter è satanico). Tutto sempre con un sorriso in bocca, emoticon di smile e pacatezza. Le persone lo apprezzano e tornano a casa felici.

Il modo di evangelizzare è l’essere gentili, simpatici e disponibili. E coerenti.

Oggi tutti dicono qualcosa su tutto, chiunque fa informazione, anche se spesso si tratta di disinformazione. Se noi cattolici ci tagliamo fuori, perdiamo la possibilità di dire qualcosa di significativo. Si può parlare di una “missione digitale”?

La missione digitale. Comunicazione della Chiesa e social media - Bruno Mastroianni,Giovanni Tridente - ebook

Assolutamente sì: si può parlare di missione digitale. Con alcuni amici e colleghi abbiamo scritto un libro che si chiama proprio La Missione Digitale, in occasione di un convegno sulla missione che hanno i cattolici on-line. Per questa Missione Digitale ci sono gli strumenti, ci sono le teorie, la pratica. Si può fare!

Avevo parlato prima di Documentazione.info, un blog dove noi scrittori siamo tutti cattolici e abbiamo una visione antropologico-cristiana dell’umano. Sul Blog trovi articoli che forse difficilmente trovi anche altrove, diamo notizie, smontiamo falsi miti, cerchiamo di fare chiarezza su tante tematiche che toccano la Chiesa. Le fonti che usiamo vanno da Barbero all’Istat.

Anche per argomenti come l’omosessualità, teoria del transgender, utero in affitto, prendiamo sempre dati oggettivi e usiamo un linguaggio pacato, senza toni accesi che risultano giudicanti e annullano quell’empatia di cui parlavamo prima. Poi non usiamo i documenti del Magistero, ma Il Manifesto, dichiarazioni delle Femministe, ecc. La missione è far capire che su certi argomenti non c’entra l’essere cattolici o l’avere motivi religiosi. Ci sono dei motivi pratico-operativi che tutti possono condividere.

Che poi, la maggior parte dei cattolici online parlano sempre di temi altissimi, come se le cose semplici e basilari fossero superflue. Non è così. Possiamo e dobbiamo iniziare da lì.

Come dialogare con le generazioni nate nel mondo digitale?

I più grande spesso hanno difficoltà a comunicare con i nativi digitali. Ci sono dei modi diversi di intendere la realtà.

Per un “boomer” la chat di Whatsapp è finta, non è reale; prendere un caffè con un amico invece è reale perché è fisico. Online e offline sono sempre in contrapposizione. Invece il punto è che le due cose possono stare insieme. Cambia il mezzo con cui io sto insieme all’altro, non l’io. La realtà non prevede la realità.

Faccio spesso dei corsi ai genitori e se ci sono dei ragazzini in stanza, si domandano sul perché io debba spiegare delle cose così ovvie; mentre i genitori magari si arrabbiano, perché dicono che non è vero ciò che dico.

Quando si parla di cyber bullismo, la difficoltà sta nel far capire che questo termine indica solo il luogo dove si fa bullismo. Se un ragazzino ha imparato a non maltrattare gli altri, non lo farà né dal vivo né sui social network. Invece, spesso, passa il concetto che su Facebook offendere è sbagliato perché lì sei più sgamabile, come se fosse sbagliato solo ciò che gli altri vedono, ma così basta fare le cose di nascosto. Il bambino già lo sa che su qualsiasi piattaforma è il suo io che agisce.

Molti adulti hanno l’ansia delle regole, l’ansia della norma. Tutto deve essere scandito da ogni sorta di regole. Educare è più faticoso che normare, ma è molto più efficace.

Allora come parlare di fede con le nuove generazioni?

Penso ci sia semplicemente bisogno di utilizzare un linguaggio più vicino ai ragazzi, senza paternalismi o pensare che siano stupidi. Lo diceva anche Mrs Doubtfire, nel film con Robby Williams.

Mrs. Doubtfire: 15 cose che non sapete sul film con Robin Williams

Bisogna creare un contatto con i ragazzi, per esempio partendo dalle serie tv che guardano. Spesso i genitori o gli adulti in generale non riescono a trovare un aggancio con i ragazzi. La tendenza è creare una sorta di divisione ed etichettare come sbagliate le nuove attività dei ragazzi.

Una volta una mamma mi disse che secondo lei video-giocare è da idioti. Come faceva a creare una relazione col figlio, se il bambino si sentiva un idiota?

La comunicazione non è un artificio, ma uno scambio sincero tra persone. Non c’è una tecnica del linguaggio. C’è la relazione.

Per parlare di fede, bisogna per prima cosa evitare di dire cose molto stupide, come se fai questo, diventi cieco o se fai così, Gesù piange. Gli argomenti più difficili vanno semplificati o comunque ogni tipo di spiegazione deve partire dall’esperienza dei ragazzi. Altrimenti risulta incomprensibile.

Se non ci sono i contenuti, non c’è linguaggio che tenga. Se parlo di cose che non mi hanno attraversato o che non ho discusso interiormente, al primo tentennamento vado nel panico.

È controproducente ripetere il catechismo a memoria ad un bambino, che appena può scappa perché non ci capisce niente. Resterebbero una serie di nozioni un po’ strane che dice un adulto e che il bambino non ha capito.

Hai progetti in cantiere?

Il progetto per ora, insieme a mia moglie, è sopravvivere a questi primi tempi con nostra figlia appena nata! La vita da genitori può essere molto avventurosa!

A livello lavorativo sto organizzando il team digital per l’Incontro Mondiale delle Famiglie che si terrà a giugno 2022 a Roma. Vi aspettiamo!

Pubblicato da ilblogdiunrabarbaro

Anna, 23 anni, amore per la vita e per Chi l'ha creata, passione instancabile per la musica. Meravigliata come stile di vita e curiosa di scoprire nuove cose, mi appassiono della vita e della bellezza, sono un'aspirante santa. Con il corno sulle spalle cammino per le strade del mondo...

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