Antonio B. Gürtler: un uomo per il Fortore

Antonio Bernard Gürtler fu il confessore della Regina del Regno di Napoli, Maria Carolina. Arrivò a San Bartolomeo in Galdo alla fine del 1700.

Attorno alla sua figura aleggia un alone di mistero, ma Rosa Evangelista ha effettuato delle ricerche e ha scoperto cose molto interessanti, di seguito qui riportate. Buona lettura!

Fu battezato a Falkov il 13 maggio 1713 nella regione di Děčín, nella diocesi di Litoměríce. Studiò al ginnasio di Česká Lípa e successivamente al seminario dei Gesuiti a Jičín. Qui si dedicò anche al canto e al suono del corno francese. Poi si recò a Praga, nel seminario di S. Venceslao come “musicus” e ascoltatore di filosofia. Fin da giovane era un ottimo linguista e conosceva numerose lingue straniere, frequentò i circoli dell’anticurialismo locale. Dopo gli studi in teologia fu ordinato sacerdote il 23 maggio 1750 e conseguì il titolo di ThDr.

Ordinato vescovo di Thiene il 29 giugno 1773, divenne il confessore della regina di Napoli Maria Carolina, figlia dell’imperatrice Maria Teresa D’austria e moglie di Ferdinando IV.

Gürtler fu un mecenate, infatti patrocinò le carriere di amici e congiunti, sia nativi del Regno, che stranieri. Amante dell’arte, fu un raffinato collezionista di antichità, violinista e paesaggista. Il suo nome compare al British Museum, ai piedi di una stampa di Filippo Morghen della serie: Le Antichità di Pozzuoli.

Il 29 dicembre 1781 il Re concesse la cittadinanza napoletana al vescovo, scrivendo:” la Maestà Sua si dichiara soddisfatta dello zelo con cui egli esercita il sagro ministero di direttore e confessore di Sua Maestà la Regina”.

Gasparo Soderini nel 1781 riferiva che il confessore e qualche dama tedesca del seguito della regina, erano gli unici a poter “far degli effetti sopra di lei”.

Egli, infatti, fu il direttore spirituale della regina per oltre vent’anni. Arbitro dell’organizzazione del cerimoniale religioso della regina e incaricato di diversi aspetti della politica ecclesiastica del Regno, Gürtler fu responsabile anche dei progetti di riforma degli studi universitari e soprattutto un attento operatore della mediazione culturale, all’interno di un network di pratiche e relazioni estese nei circoli giansenisti e massonici tra Italia e Austria.

ANTONIO GÜRTLER A SAN BARTOLOMEO IN GALDO

Nel gennaio del 1782, egli ottenne l’investitura della titolarità della badia di San Bartolomeo in Galdo, un antico feudo ecclesiastico sito nel beneventano, passato agli inizi del secolo XVIII dalla titolarità del vescovo di Volturara a quella dei Gesuiti e devoluto alla Corona dopo la loro espulsione dal Regno, che al Gürther garantì una rendita di almeno 4.500 ducati l’anno.

Gürtler vi promosse una attenta gestione e valorizzazione dei beni che vi erano annessi, grazie a una previa operazione di riordino amministrativo e recupero di antichi crediti e diritti caduti in disuso che egli affidò ai suoi legali. Istituì un monte di maritaggi per le fanciulle povere del luogo; contribuì finanziariamente all’apertura di un seminario e si fece apprezzare per tutta una serie di iniziative nel campo dell’assistenza pastorale e della istruzione ed educazione dei ceti popolari locali.

GÜRTLER: ABATE COMMENDATARIO

L’abate commendatario sovrintendeva da lontano e gestiva, da feudatario, tramite i suoi delegati, il patrimonio e la giurisdizione (cause civili di primo grado) sul territorio.

Si ipotizza che Gürtler sia venuto sul territorio Sanbartolomeano solo una volta, nel 1782.

Egli fu padrino di battesimo, per procura, di Pietro, figlio di D. Saverio della nobile famiglia Cilenti di Foiano. Gli regalò per l’occasione una chioccia d’argento con i pulcini d’oro.

San Bartolomeo è stato da sempre un luogo di “reggenza”, isolato e lontano dalla capitale partenopea. Nonostante ciò, si evince dal periodo di sovrintendenza di Gürtler, che anche chi è lontano può fare la differenza nello sviluppo del paese.

FONTANA DEL GIGLIO

La popolazione sanbartolomeana era costretta a recarsi in luoghi discosti dall’abitato, per attingere l’acqua e dissetarsi. L’abate fece costruire nel 1791 una fontana nella piazza principale del paese, grazie anche a un piano di riqualificazione urbanistica complessiva dell’intero centro abitato. L’Abate erogò circa sedicimila ducati. Fu un dono della Regina Carolina Arciduchessa D’Austria. Le acque zampillano in cinque getti distinti, uno al centro e altri quattro intorno, tutti chiusi da una vasca di travertino per uso di abbeveratorio.

“Sembrano formiche, tornano alla Terra in lunga fila, umili e muti, i volti bruni e le mani incretate; i piccoli non hanno scarpe, le donne non hanno età, gli uomini hanno la stanchezza.”

La fontana del Giglio fu smantellata durante il periodo fascista. Da allora la nostra piazza è incapace di raccontare la propria storia, la nostra storia.

L’ACQUEDOTTO

Le acque furono trasportate con un acquedotto lungo circa tre miglia dalla vetta del monte Taglianaso. La linea corsa era di ventiseimila palmi. Con il tempo l’acquedotto si deteriorò. Molti tubi furono rotti o spostati da frane, altri ostruiti da incrostazioni calcaree, al punto che si soffrì di scarsezza d’acqua.

IL SEMINARIO destinato all'”istruzione e alla gioventù”

Gürtler acquistò rapida fama annoverando tra i docenti insigni studiosi e divenendo una prestigiosa istituzione tanto da essere frequentato da alunni provenienti da svariati paesi (Sannicandro, Gildone, Troia, Biccari, Tufara e altri luoghi). vi si insegnavano la lingua italiana e latina, la storia, la filologia, l’eloquenza, l’arte poetica, la filosofia, le matematiche, la storia dell’impero romano, la teologia drammatica e il canto gregoriano. Vi erano inoltre lezioni di sacra scrittura e catechismo romano. Il seminario era collocato in via Costa, dove attualmente c’è la Scuola Primaria Capoluogo.

Nella ricorrenza delle diverse principali solennità della chiesa e del santo protettore della città, come pure nei giorni onomastici del vescovo, e dell’Abate commendatario, vi era l’uso di mostrare al pubblico il profitto dei giovani del seminario. Solitamente gli eventi erano nella chiesa maggiore.

Un imponente cerimoniale religioso si celebrava nel corso della settimana Santa. Il popolo trovava negli oggetti della religione una festa, che gli riempiva il cuore di soddisfazione e di tenera rimembranza del Grande Sacrificio; nel vedere specialmente i giovani alunni del seminario fino al numero di novanta, intendi tutti ad esprimere con l’armonia del canto gregoriano il dolore della cristianità per la morte dell’ agnello Divino!

Il seminario venne soppresso nel 1818 dal vescovo di Lucera. La popolazione si oppose e venne inviata una lettera finanche al re, senza alcun esito. Nella lettera scrissero: “Le Muse frentane brillavano. […] Erano queste le nostre ricchezze“.

DONAZIONI

L’Abate fece cospicui doni alle comunità di San Bartolomeo e Foiano.

Una sfera del sagramento del valore di seimila ducati, un calice d’oro con stemma dell’abate e stampigliatura pari a un “rotolo” austriaco, un calice con coppa d’oro e piede d’argento d’ottimo lavoro di francia.

A Foiano donò un calice d’oro massiccio, che fu causa di tensioni che portarono dinanzi al tribunale del Molise nel 1854 il sig. Giovannangelo Cilenti e la parrocchia del SS. Rosario.

Secondo l’usanza di Foiano gli oggetti sacri preziosi, per motivi di sicurezza, venivano custoditi presso i palazzi signorili. Tale abitudine fu applicata al calice donato dall’abate e nel corso del tempo questa usanza portò i nobili a rivendicarne la proprietà. La causa, comunque, fu vinta dalla chiesa foianese.

Vengono ricordate dallo storico Nicola Falcone, che dimorò presso la famiglia braca per raccogliere notizie e documenti, “limosine mensuali a molte famiglie povere, maritaggi di povere zitelle e soccorsi eventuali”.

PARAMENTI LITURGICI

  • Pianeta in lama d’oro di seta rossa di manifattura napoletana di CM 106 x 71 risalente all’ultimo quarto del XVIII secolo. I ricami sono di oro filato riccio, liscio, e laminetta d’oro. La fodera è costituita da un ormesino di seta rossa. La pianeta è suddivisa in tre colonne ricamate alternando ai caratteristici motivi eucaristici, grappoli d’uva ancora legate alle foglie della vite ed ai pampini e spighe di grano con mazzolini di fiordalisi e tulipani, con un altro piccolo bouquet fiorito. L’elemento di raccordo è il nodo d’amore, caratteristico del periodo Luigi XVI. Questo tipo di decorazione a mazzolini sparsi aveva fatto la sua comparsa già alla metà del secolo, ma è tra la fine di questo e l’inizio del successivo che si afferma pienamente, sposandosi con l’incipiente gusto neoclassico. Alla base della colonna posteriore, al posto del canonico stemma vescovile, si trova un ricamo in canutiglia d’oro “di m.c.s”. Viene spontaneo leggervi, ma è pura supposizione, che significhi dono di Maria Carolina sovrana.
  • Parato in terza di lamadoro di seta rossa di manifattura napoletana confezionato nel 1781. La pianeta è di dimensioni cm 104 x 70,6 il Piaviale di CM 305 x 145,20, la Dalmatica di CM 114 x 134. Si pensa che sia il “parato pontificale in Lama d’oro su fondo rosso per la solennità del protettore, con camici guarniti di berletti finissimi di Inghilterra” come descritto dal “Ricorso Ragionato…”
  • Parato in terza di raso di seta rosso manifattura napoletana risalente al XVIII secolo. I ricami sono di oro filato riccio è liscio su ascia di seta gialla e la minetta d’oro e paillettes. La fodera è di ormesino di seta rosso. La decorazione prende forma da una grossa anfora da cui traboccano fiori fantasiosi e tralci con lo stemma classico della candelabra al sommo della colonna Ecco due volute affrontate e speculari che terminano in basso in forma di cornucopie, mentre un elemento amò di baldacchino le raccorda. Il resto della decorazione si svolge curiosamente all’inverso rispetto all’impostazione tradizionale. Scendendo verso il basso, invadendo con una cascata di motivi minutissimi l’intero spazio. Diversamente dalla pianeta conservata a Foiano, sempre dono dell’Abate commendatario, lineare e perfettamente inserita nel alvio del gusto Luigi XVI. L’impostazione grafica di questa è decisamente barocca e con la capacità di fondere insieme, con un linguaggio colto e non ridondante, tutti gli elementi che hanno caratterizzato la decorazione tessile degli ultimi 100 anni, da repertorio seicentesco come le minutissime perle alle reminiscenze bizzarre.

Lascia perplessi trovare un manufatto simile nel penultimo decennio del XVIII secolo, dato che il 1791 è l’anno della morte dell’Abate. Crediamo si tratti di un parato già confezionato, almeno una ventina d’anni prima, acquistato dal Gürtler in qualche ottimo laboratorio e su cui ha fatto solo apporre il ricamo il proprio stemma. Osservando con attenzione il manufatto ci si rende conto infatti che lo stemma e primo di un vero e proprio scudo, ma anzi utilizza A questo scopo, sovrapponendosi, il grande vaso che gli fa da sfondo punto. Solo la pianeta riporta lo stemma, mentre le dalmatiche ne sono prive, contravvenendo all’uso comune.

PRINCIPALI OPERE A LUI DEDICATE

Nel 1777 Emmanuele Campolongo, sacerdote e giurista, studioso di antichità classica, gli dedicò il suo Quaresimale, una raccolta di prediche volta ad affrancare i modelli della retorica da certe tendenze barocche post-tridentine e, pertanto, alquanto in controtendenza rispetto al panorama della editoria religiosa napoletana di quegli anni.

L’abate fu un protagonista delle pratiche antiquarie e si distinse come studioso e collezionista.

ZIBALDONE SULLA PERLA DEL FORTORE Omaggio a San Bartolomeo in Galdo Parte  sesta • SanBartolomeo.info :::: Sanbartolomeani nel mondo

L’acquisizione in campo archeologico più importante per Gürther avvenne nel ’77, quando in località Roccaspromonte, in Molise, dei contadini del luogo, nel corso dei loro consueti lavori stagionali, avevano riportato alla luce una scultura etrusca in terracotta di grandi dimensioni, raffigurante l’Athena.

Cerulli, un giurista di origini baresi interessato alle antichità, partecipò all’eccezionale ritrovamento con il mondo degli esperti e degli studiosi. Pubblicò una lettera dedicata al Gürther, in cui forniva molti dettagli sul luogo, l’oggetto del ritrovamento e la decifrazione dell’epigrafe sottostante, allegando anche un esauriente disegno della statua in questione.

La statua etrusca dell’Athena di Roccaspromonte fu immediatamente fatta propria dal Gürther. In seguito, non sappiamo con quali modalità, essa passò nella collezione dell’ambasciatore austriaco a Napoli, il barone Anton de Paula von Lamberg-Sprinzenstein, la cui raccolta di antichità era seconda a Napoli solo a quella di sir William Hamilton. Nel corso del XIX secolo, poi, la collezione del diplomatico austriaco fu acquisita per questioni legate alla dispersione della sua eredità dal Gabinetto di Monete e Antichità di Vienna. Attualmente l’Athena di Roccaspromonte, e con essa la memoria del vescovo Gürther troneggiano nelle sale del Kunsthistorisches Museum di Vienna in ottimo stato di conservazione.

L’articolo è interamente di Rosa Evangelista.

Pubblicato da ilblogdiunrabarbaro

Anna, 23 anni, amore per la vita e per Chi l'ha creata, passione instancabile per la musica. Meravigliata come stile di vita e curiosa di scoprire nuove cose, mi appassiono della vita e della bellezza, sono un'aspirante santa. Con il corno sulle spalle cammino per le strade del mondo...

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