Luci

Luciana Patullo, in arte Luci, è una giovane artista molisana.

Bojano è il luogo in cui è nata e lo stesso in cui ha scelto di realizzare sogni e progetti audaci. Luciana ha anche vissuto a Roma, poi a Vienna, dove ha imparato a suonare l’arpa celtica. A Bojano torna dopo il periodo viennese e apre uno spazio culturale dal nome “Lo Scarabocchio – laboratori d’espressione”, in cui organizza eventi, mostre, corsi di formazione ed espressione artistica.

Nella primavera del 2020 inizia a pubblicare canzoni e videoclip come LUCI sulle piattaforme digitali, con l’etichetta Metraton e la distribuzione Artist First. Lo scorso 18 dicembre ha pubblicato il suo primo album omonimo, insieme alla strettissima collaborazione di Aurelio Rizzuti.

Voglio raccontarvi Luci perché mi ha colpito molto la sua semplicità, la sua voce dolce e avvolgente, il suo entusiasmo e il suo amore infinito per la musica.

Non aggiungo altro, lascio che vi conquisti lei stessa.

Ciao Luci! Quanto sei emozionata per il tuo primo disco?

Sono emozionatissima! Questo disco era un sogno nel cassetto che non avevo mai avuto il coraggio di realizzare. Non mi prendevo la responsabilità di questo sogno.

Accanto alla felicità, non posso nascondere un lato di tristezza. Fare una festa o un concerto, in questo periodo non sarà possibile. Mi manca il rapporto fisico con le persone, il pubblico. Rispetto alle registrazioni, la musica dal vivo ti dà emozioni diverse, ti pone di fronte alle canzoni in maniera completamente nuova, dandoti la possibilità di capirla, assaporarla. Spero nel prossimo anno.

Da piccola, cosa volevi fare da grande?

Mia madre mi racconta spesso che ho iniziato prima a cantare e poi a parlare. Ho sempre cantato, come se fosse un’esigenza fisiologica. Ricordo che quando ero piccola, dopo scuola, mi chiudevo nella stanza e cantavo, cantavo, cantavo.

Alle superiori mi ero appassionata molto alla filosofia e mi sarebbe piaciuto molto studiarla. Poi ho voluto comunque scegliere la musica: era lei che volevo davvero.

In una sola parola come ti definiresti?

Definirmi in una sola parola è veramente difficile per me. Non ho una parola, ma penso che “dubbio”, in senso positivo, mi possa rappresentare. Dubbio, nel senso che mi metto sempre in discussione, non ho certezze assolute, non voglio credere di essere sempre nel giusto. Sono una persona che non segue gli stereotipi.

LUCI è la summa di un percorso musicale ed umano, come se ci fosse un pezzo di te in ogni canzone, che va a formare un grande puzzle biografico.

Esatto, il disco è proprio l’incontro tra la vecchia e la nuova me. Tra la me intimorita, che si portava le sue canzoni nella valigia, con le sue insicurezze e timori e una me più consapevole e più leggera. I testi delle mie nuove canzoni, infatti, sono molto più chiari: arrivo dritta al punto. Invece, in canzoni come Dal Principio o Anemone ero molto criptica, i miei testi erano simili ad immagini.

Foto di Gabriele Brunetti

Il disco è un insieme di canzoni differenti, dal Pop alla musica sperimentale. Mi piace la musica quando racconta qualcosa e non mi entusiasma entrare dentro comparti stagni e rimanerci. 

Ho sperimentato tanto di me stessa, posso crescere ancora e devo crescere ancora.

Le tue canzoni narrano la bellezza della fragilità, tu racconti della preziosità di fiori delicati.

“C’è luce in quel fiore, Jo resisti”, dici in Johanna. Poi c’è il Bolero delle Mante, che è una danza bellissima, e anche in questa canzone vuoi dare coraggio. A chi sono dedicate queste danze?

Johanna Bonger era la cognata di Van Gogh. Ho conosciuto la meravigliosa storia di questa donna quando ho visitato il museo di Van Gogh ad Amsterdam. Alla morte del marito Theo, appena sei mesi dopo la morte di Vincent, Johanna si era trovata sola con tutti i quadri del cognato e con un figlio piccolo.

Lei ha lottato tanto per dare dignità ai quadri di Van Gogh, dando finalmente visibilità a quei quadri così a lungo tralasciati e snobbati dai critici. Grazie a Johanna Bonger possiamo ammirare quadri come la Notte Stellata o i Girasoli.

In questa canzone, mi sono immaginata come un’amica di Johanna, dicendole “Resisti, non mollare”. La sua storia mi ha fatto riflettere sul fatto che davvero possiamo cambiare il corso degli eventi, davvero conta ciò che facciamo. Johanna l’ha fatto in positivo, con la sua forza e il suo coraggio.

Poi c’è il Bolero delle Mante, che non è dedicato a una persona sola, ma è rivolto a un “noi”. Il noi delle persone fragili, il noi di chi si sente fragile nella sua diversità. Con il Bolero delle Mante, voglio prendere tutti per mano e dire: “divertiamoci insieme in questa diversità”.

Lavoro con bambini e adolescenti, con corsi d’arte e di musica allo Scarabocchio e con le scuole. Ne ho incontrate tante di persone, ho incontrato tante fragilità nascoste sotto un velo di vergogna. Ho sempre vissuto anch’io pensando di dover essere perfetta. Vivevo tra il mondo delle Accademie, tra conservatorio e scuole varie, e un ambiente underground (ho cantato in gruppi rock). Eppure, non mi sentivo mai né troppo alternativa o abbastanza rock – anche se nel cuore sono molto rock-, né ero mai abbastanza accademica. Alla fine ho scoperto di essere una Luciana diversa dalle mie aspettative e ho imparato ad essere sempre più me stessa.

Le mante sono pesci straordinari, che se sapessero quanto sono pesanti non potrebbero fare quei salti, invece loro volano. Se ce la fanno loro, possiamo farlo tutti. E quindi, il Bolero delle Mante lo dedico a me stessa e a tutti: siate voi stessi…e balliamo!

Nel disco c’è anche la dolcissima cover de La casa in Riva al Mare di Lucio Dalla. Cosa rappresenta questa canzone?

Ho scelto questo brano di Dalla, nel periodo in cui stavamo uscendo dal lockdown, in estate. La casa in riva al mare è una canzone che parla della cattività ingiusta del protagonista, poiché era chiuso in casa. Lui, per “sopravvivere”, viaggiava con la mente guardando una donna fuori dalla finestra, viveva di quell’illusione d’amore. Questo l’ha salvato negli anni.

Noi anche abbiamo dovuto tirare fuori tutta la nostra forza e resilienza per vivere questo periodo difficile con il Covid-19. È un messaggio di speranza. 

In più occasioni hai definito «Luci» come il “nostro primo disco”, facendo riferimento ad Aurelio Rizzuti.

Aurelio è un amico di sempre, l’ho conosciuto a Roma quando mi sono trasferita lì dopo la maturità. Lui è un batterista e un produttore. Abbiamo mantenuto sempre un bel legame, anche quando ero a Vienna, e quando ho ricominciato a cantare con l’arpa celtica, lui mi continuava a seguire con interesse.

A Roma, intanto, lui aveva aperto uno studio di registrazione “Il cubo rosso Recording” con altri due soci, aveva investito molto in questo progetto. Con queste premesse, Aurelio mi propose di registrare le mie canzoni. Inizialmente avevo intenzione di registrarle solo voce e arpa o col pianoforte, come ero abituata a sentirle nei miei concerti con un semplice set acustico. Lui invece ci vedeva un potenziale maggiore, voleva lavorarci su, quindi prese i miei demo e si mise silenziosamente al lavoro. Tanto silenziosamente che, quando dopo alcuni mesi, mi inviò il link delle canzoni con le sue produzioni, mi sembravano altri pezzi.

In quel periodo ero tornata a Bojano, ero in un periodo difficile perché dovevo riacquistare forze per reinventarmi nella mia città. Ascoltando le canzoni arrangiate da Aurelio non le riconoscevo, le aveva rielaborate in maniera nuova. Lì ho capito che le canzoni sono come figli, dovevo lasciarle andare per poterle vedere crescere.

Aurelio non è stato semplicemente il mio produttore, ma colui che ha deciso tanto del disco, gli ho lasciato tanta libertà nelle scelte degli arrangiamenti e dei suoni, felice di averlo fatto. È stata una collaborazione davvero bella.

Anemone mi è entrata particolarmente nel cuore per la sua musica dolce, misteriosa, quasi mistica, che apre le porte ad un mondo parallelo. Quale storia racconti?

Anemone è una canzone davvero molto criptica. Anche nella produzione, con Aurelio Rizzuti, abbiamo avuto molto lavoro da fare per la sua complessità.

I soggetti della canzone sono una foglia, i fiori, una goccia e un ragazzo.

È una delle prime canzoni che ho scritto e non rappresenta un periodo storico o un avvenimento preciso. Anemone raccoglie tutte le sensazioni che vivevo in quel momento. Ho voluto raccontare la circolarità degli eventi, proprio come quel ragazzo che ogni giorno dice addio alla sua amata. Questa canzone non ha un inizio e non ha una fine.

Anemone racconta il fermarsi dinanzi agli eventi a osservarli, vedere la poesia in una foglia che cade o nell’amore o in una goccia che cade sul vetro.

“Ho bisogno di te, non ho bisogno di te” è una citazione a Leonard Cohen, e rappresenta la confusione di alcuni amori, del non saper scegliere.

Poi nel ritornello c’è un’apertura positiva, in cui ammiro la bellezza della casualità. Un giorno tornavo in macchina da un viaggio con degli amici, e insieme pensavamo alle coincidenze, al “caso” che ci ha fatti incontrare. Bello ‘sto caso che ci fa stare insieme! …che poi non penso nemmeno che siano vere casualità.

Insomma, era un periodo in cui guardavo le cose osservandole in maniera attenta, perché cercavo la mia strada. Anemone è un quadro, è una canzone pittorica, è un insieme di pennellate che vogliono rappresentare i miei pensieri.

Foto di Francesco D’adderio

Hai una tua canzone preferita?

Sono veramente molto fiera di come ho interpretato La casa in Riva al mare. E, poi, una delle canzoni che penso possa ancora crescere è “Che ore sono”. È molto breve la registrazione che abbiamo fatto. Penso che il sentimento della rabbia che esprime, possa essere spiegato ancora meglio. La considero la mia preferita perché è ancora piccola, piccola e può diventare migliore.

Se dovessi scegliere una sola parola per definire il disco, quale sceglieresti?

Eclettico: il disco è veramente molto variegato, non è facile inquadrarlo.

Come nascono le tue canzoni? Da cosa prendi ispirazione?

Certe volte vorrei scrivere una canzone e non ci riesco. L’ispirazione spesso arriva in modo inaspettato, a volte ci ho messo anni per rifinire un brano.

Ad esempio, il Bolero delle mante è nata grazie a una frase sentita in un documentario in tv. Cinque metri di neve è stata frutto di un chiaro progetto, sapevo esattamente cosa volevo fare.

La creatività arriva da qualsiasi cosa. Questa cosa dovrebbe essere insegnata anche a scuola, perché a volte proprio i bambini non si sentono liberi di creare, di scatenarsi nella fantasia.

Perché fai musica?

Io ho provato a non fare musica, a Vienna, ma alla fine non ci sono riuscita, non riesco a farne a meno. Mi piace davvero tanto il processo creativo che c’è dietro ogni canzone, tra le parole e la musica, la collaborazione con altri artisti. Spero di avere sempre il coraggio di farlo.

Dico il coraggio, perché è una lotta, in un certo senso, è un investimento continuo, un saper crescere attraverso i feedback positivi e negativi che siano.

Forse nel periodo in cui avevo smesso di suonare, era proprio quello in cui non accettavo che a qualcuno potesse non piacere la mia musica. Invece va bene così, non devo piacere a tutti.

Il tuo Molise che spazio ha nel disco?

Il Molise è casa. Il ritorno a casa è stato l’inizio di ogni mio progetto. È stato un ritorno positivo, ero consapevole di cosa avevo scelto tornando a casa. È stata una sfida voler credere di poter realizzare i miei progetti da qui, per dimostrare a me stessa e agli altri che ce la possiamo fare a creare qualcosa di bello in città piccole (diverse da Vienna o Roma). Non è tanto il luogo in cui sei che fa la differenza, ma tu come stai, chi sei. A volte, semplicemente, l’ambiente ci risponde rispetto al modo in cui ci poniamo.

Quando sono tornata in Molise, invece di aspettarmi qualcosa dagli altri, mi sono messa io in campo, ho fatto io qualcosa per gli altri. La verità è che se nessuno fa nulla, le cose belle e interessanti non si creeranno da sole. Che poi, da un lato, è più facile promuovere delle attività “nuove” in posti dove queste non ci sono ancora. Mentre, in una grande città, sicuramente già esistono spazi culturali dove le menti brillanti dei giovani possono operare.

Il fatto che il disco nasca ora che sono a casa, mi rende molto orgogliosa. Probabilmente realizzare un disco, promuoverlo, fare concerti, ecc. ecc., sarebbe stato più facile in una grande città, invece io ho scelto di farlo qui.

Dunque, il Molise ci sta [nel disco] nella scelta coraggiosa di aver realizzato il mio progetto.

Tra l’altro, recentemente ho suonato con Stefano di Matteo sulla Gallinola, un monte del Matese, ed è stato un momento molto bello.

Per il 2021 hai fatto nuovi progetti? Cosa ti aspetti dal nuovo anno?

La cosa che assolutamente voglio fare, è suonare dal vivo. Lo voglio davvero tanto.

Ne abbiamo bisogno come artisti, ne abbiamo bisogno come pubblico.

Siamo giunte alla fine di questo percorso con un’ultima domanda. Qual è la cosa più importante che hai imparato nella tua vita?

Penso che la cosa più importante sia il coraggio. Coraggio, che vuol dire “agire con il cuore”. Me lo voglio ricordare ogni giorno.

Coraggio di essere gentili, di essere grata, di amare, di uscire fuori dagli schemi, di dire sempre la verità, di non arrendersi di fronte alle ingiustizie, il coraggio di prendersi la responsabilità dei propri sogni.

Cantare poi è un vero e proprio atto di coraggio. Lo ripeto spesso anche ai ragazzi e ai bambini che vengono alla Scarabocchio. Non fermiamoci mai.

Grazie Luci per averci donato parole molto belle, per averci ricordato di essere custodi responsabili dei nostri sogni. Non fermiamoci mai!

Pubblicato da ilblogdiunrabarbaro

Anna, 23 anni, amore per la vita e per Chi l'ha creata, passione instancabile per la musica. Meravigliata come stile di vita e curiosa di scoprire nuove cose, mi appassiono della vita e della bellezza, sono un'aspirante santa. Con il corno sulle spalle cammino per le strade del mondo...

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