Cari lettori, oggi ho il piacere di presentarvi il dott. Massimiliano Guerriero, medico campobassano, specialista in anatomia patologica e amante della corsa…tanto che l’ha portata anche in Uganda, dove si reca di anno in anno nell’Ospedale di Lacor.
Molti ti conoscono come “Il guerriero che corre”, ma sei anche un medico campobassano, specialista in anatomia patologica. Ci racconti meglio di cosa ti occupi?
Ebbene sì, sono anatomopatologo. L’anatomopatologo è quel medico specialista che si occupa di caratterizzare le lesioni. Mi spiego meglio: se una signora si sottopone a una gastroscopia, nel corso di questo esame il gastroenterologo eseguirà delle biopsie, cioè prenderà dei frammenti di mucosa gastrica, i quali andranno all’anatomopatologo, che li analizza al microscopio e dirà se la paziente ha una gastrite e che tipo di gastrite è; queste informazioni serviranno al gastroenterologo per impostare la terapia più corretta. L’anatomopatologo è un medico per i medici, che i pazienti spesso nemmeno conoscono. Tutti quei medici che eseguono biopsie o asportano lesioni (pensiamo ad un neo cutaneo o a un nodulo alla mammella) le faranno analizzare in anatomia patologica. Anche tutti gli organi prelevati in parte o completamente dai chirurghi per motivi oncologici vengono analizzati dall’anatomopatologo che dirà esattamente di che tipo di tumore si tratta e questi dati saranno fondamentali per curare il tumore. Sempre più importante è stabilire che molecole esprimono i diversi tumori al fine di applicare la più corretta target terapy, nuova frontiera della chemioterapia. Non tutti gli anatomopatologi si occupano anche di autopsie ed io sono esattamente uno tra questi.
Come stai affrontando da medico questo momento storico, di emergenza sanitaria?
Ogni momento storico va vissuto per quello che è. Ormai in Ospedale a Campobasso da marzo viviamo con le mascherine, siamo preoccupati. Come anatomopatologo sto supplicando i vertici della mia Azienda Sanitaria di mettere a norma almeno una sala autoptica, poiché servono dei filtri speciali dell’aria per fare autopsie anche ai pazienti deceduti per Covid-19, magari in casi selezionati come pazienti giovani e senza altre malattie concomitanti.
Credo che qualcosa di meglio si poteva fare per arrivare meno impreparati alla seconda ondata. Già si parla della terza ondata a febbraio-marzo, quindi speriamo bene. I nostri nonni non meritano di essere travolti da questa epidemia.
Come ho detto all’inizio, sei conosciuto anche come “Il guerriero che corre”. La passione per la corsa è parte di te. Hai anche ricevuto un premio dalla G.S. Virtus intitolato a Mario Farinaccio. C’entra qualcosa con la tua attività in Uganda?
Ricevere il premio dalla Virtus è stato per me un grandissimo onore. A volte guardo il premio, un elefante d’argento, e stento ancora a crederci. Credo che la Virtus mi abbia voluto premiare non per i meriti sportivi (che di fatto non ho), ma per la testimonianza di correre sempre, accettando i propri limiti, per divertimento e per mantenersi in salute e, allo stesso tempo, per la mia testimonianza di solidarietà data nelle mie cinque missioni in Uganda, dove sono sempre andato a lavorare durante le ferie e completamente gratis.
Come mai ha scelto l’Uganda per prestare la tua opera professionale?
L’Uganda è arrivata per caso, inizialmente mi ero candidato per fare il volontario con i “Patologi oltre frontiera”, anatomopatologi che vanno a portare le avanzate tecniche istopatologiche in ospedali dell’Africa. Mi ero candidato per un progetto in Tanzania, ma poi mi proposero l’Uganda ed andai. Era settembre 2014, dopo quell’anno sono tornato altre quattro volte. Ho lavorato al Lacor Hospital di Gulu.
In Uganda hai fatto esperienza della povertà. Eri un muzungu tra gli abitanti di Gulu. Di cosa ti sei occupato al Lacor Hospital?
L’Uganda da pochi anni è venuta fuori da decenni di guerra civile, che hanno sconvolto il nord del Paese. Povertà è assenza di corrente elettrica, di acqua potabile e tante latrine. Si vive di agricoltura, la sera è tutto buio, non esistono lampioni o illuminazione, nessuno possiede un’automobile, hanno al massimo una bicicletta, ci si muove in boda-boda i classici moto-taxi ugandesi, dove vedi anche fino a 4 o 5 persone tutte insieme. Addirittura, una volta su un boda-boda ho visto trasportare un maiale intero.
Al Lacor Hospital ho fatto semplicemente quello che so fare: l’anatomopatologo. Le attrezzature sono molto antiquate, ma i tecnici Lawrence e Michael sono bravissimi. Ho avuto modo di analizzare e studiare tumori molto diversi dai nostri, come il sarcoma di Kaposi, tipico di malati di AIDS o del linfoma di Burkitt, tipico dei bambini in zone dove la malaria è endemica.
Nel 2016, mentre eri in Uganda, hai contratto la Malaria. Tra l’altro sei stato curato nello stesso ospedale dove lavoravi. Come ti ha segnato questa spiacevole esperienza?
Una notte mi svegliai con una nausea immensa, subito iniziò vomito e diarrea, una nottataccia, pensavo di avere un’infezione intestinale. Poi la mattina dopo avevo la febbre alta, lo dissi a Elio Croce, che era lì, e lui subito, tranquillo disse: “Hai la malaria, vai a fare il test”. Avevo la malaria 1+, cioè con poco plasmodio nel sangue. Ebbi paura, tanta, per due giorni ebbi molta paura. Ma iniziarono subito la terapia a base di artesunate, tre dosi endovena e poi altri tre giorni di pillole. Già dopo la seconda dose, la febbre mi passò improvvisamente e iniziai a sentirmi meglio. Non penso che questa malattia mi abbia segnato, ma sicuramente mi ha aiutato a capire perché i poveri bambini africani muoiono. Dopo una tale diarrea e vomito con febbre alta, io grande e grosso mi sentivo uno straccio. Un bambino esile, in un villaggio senza terapie, collassa e muore…
Hai conosciuto Fratel Elio Croce, comboniano trentino che purtroppo ci ha lasciati solo pochi giorni fa. Ha significato molto per te questo incontro?
Fratel Elio Croce era un vero mito. Animato da una fede profonda si sentiva nelle mani della Provvidenza di Dio che lo aveva portato in quel posto e di volta in volta gli aveva fatto conoscere persone, offerto occasioni, dato risposte, soluzioni e mezzi. Di suo, metteva in ogni cosa solo tanta energia e buona volontà. Fratel Elio era un vero religioso, un esempio di vita per tutti. Instancabile, era il capo del servizio tecnico dell’Ospedale, il responsabile dell’Orfanotrofio St. Jude Children’s Home e della Farm- una azienda agricola.
Tornerai ancora in Uganda, nei prossimi anni? Ci sono progetti in cantiere?
Spero che questa epidemia mondiale si esaurisca al più presto, certamente vorrei tornare in Uganda, dove ho tanti amici. Mi piacerebbe tanto andarci ancora a lungo.
Casualmente sono incappato in questa intervista. A volte si può essere fraintesi, quello e’ il figlio per cui è logico che stia a lodarlo. Sai perfettamente che non sono fatto di questa pasta. Ti ho sempre ammirato perché ti sei impegnato al massimo per raggiungere le mete prefisse, senza aiuto di nessuno, anzi quasi sempre osteggiato ed invidiato. Perché? Fai il tuo lavoro senza invadere quello degli altri. Ti invidio amorevolmente anche perché fai quello che ho desiderato di fare e non mi è riuscito di farlo. Vai sempre avanti in questo modo e non demordere. Che Dio possa starti vicino ed aiutarti.